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Reality in carcere

PRIVACY: "Reality" nelle carceri. (31/07/2006)

Una cosa è l’informazione sulla realtà carceraria, tutt’altra cosa la spettacolarizzazione di situazioni di disagio. È questo il concetto base della risposta del Garante privacy al Ministero della Giustizia che lo aveva interpellato sul progetto di una trasmissione televisiva stile "reality" da realizzare, nel carcere di Viterbo, a cura di Maurizio Costanzo per Italia 1. Sedici ore di registrazione in cella al giorno, dalle quali estrarre una puntata quotidiana di mezz’ora.

La relazione di Mauro Paissan, fatta propria dal Collegio del Garante, afferma come assoluta la tutela della dignità del detenuto nel rendere noti drammi e momenti del tutto privati della vita carceraria. "Il consenso degli interessati è importante, ma non è di per sé sufficiente: rappresenta soltanto uno dei presupposti da tenere presente, per il quale ci si dovrà peraltro assicurare che si tratti di una manifestazione di volontà realmente libera e basata su un’adeguata informazione preventiva, volta a spiegare bene anche gli effetti di una prolungata esposizione al pubblico. Occorre quindi che il Ministero valuti l’iniziativa nel suo insieme, senza limitarsi alla pur necessaria disponibilità dei singoli detenuti e degli altri soggetti coinvolti".

Paissan evidenzia in particolare alcuni aspetti problematici che vanno attentamente considerati. Innanzitutto, i luoghi delle riprese. "L’installazione di telecamere fisse all’interno di locali angusti rende necessario salvaguardare spazi irrinunciabili di intimità delle persone ristrette in cella, legati, ad esempio, a particolari stati di disagio o di malattia, oppure al decoro e all’igiene della persona". E le stesse cautele devono essere usate per le riprese negli ambienti e nelle aree destinate alle attività ricreative o di ritrovo dei detenuti (cortili, mense, ecc.).

Un’ulteriore riflessione, afferma ancora il Garante, dovrebbe riguardare le concrete modalità e la durata delle riprese, visto che si prefigura un massiccio utilizzo di telecamere accese in modo continuativo per un prolungato arco di tempo (16 ore quotidiane, secondo la tipologia del cosiddetto "reality"), che potrebbe risultare, malgrado i possibili tagli nel montaggio, eccessivo e sproporzionato rispetto alle finalità di informazione e di documentazione.

La relazione di Paissan pone, infine, al Ministero la questione di ciò che nel corso delle riprese può essere detto su altre persone: "Dovrebbero essere fornite adeguate garanzie rispetto ai diritti dei terzi oggetto di racconti e commenti durante le registrazioni, con particolare riguardo al diritto all’oblio e alle vittime dei reati".

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