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PAGHE: Tredicesima mensilità, gli elementi che compongono la 13 mensilità e chi ha diritto di riceve

PAGHE: Tredicesima mensilità, istruzioni per l'uso (27/11/2008)

Tredicesima, istruzioni per l’uso voci che influenzano il calcolo
La tredicesima è così denominata perché, di fatto, costituisce la «tredicesima» mensilità (in numero su un anno) che viene erogata ai lavoratori dipendenti. È, dunque, una mensilità aggiuntiva rispetto alle 12 normalmente spettanti ai lavoratori in cambio della prestazione lavorativa, disciplinata dai contratti nazionali di lavoro. Spetta, come detto, soltanto ai dipendenti cioè ai lavoratori titolari di un rapporto di lavoro subordinato. Anche alle colf, ma restano fuori tutti i collaboratori (co.co.co. e lavoratori a progetto).

La disciplina per le assenze
La tredicesima mensilità spetta al dipendente che abbia lavorato un intero anno (il calcolo è sempre riferito ad anno solare); in altre parole, la tredicesima «matura» in funzione alla durata dell’impiego durante l’arco dell’anno solare. Quando non si lavora, dunque, non si matura la tredicesima; il principio non vale per tutte le assenze. Alcune, infatti, consentono la maturazione della tredicesima; e altre, ancora, sono invece assenze che vengono retribuite comprensive della tredicesima.

Assenza e tredicesima

Assenze utili

  • congedo matrimoniale; 
  • malattia e infortunio (nei limiti di tempo relativi alla conservazione del posto previsti dal contratto); 
  • ferie; 
  • permessi retribuiti; 
  • astensione obbligatoria per maternità; 
  • riposi giornalieri per allattamento; 
  • preavviso non lavorato e sostituito dalla corrispondente indennità 

Assenze non utili

  • malattia e infortunio oltre i limiti di tempo relativi alla conservazione del posto previsti dal contratto; 
  • sciopero; 
  • assenze ingiustificate; 
  • permessi non retribuiti; 
  • aspettativa e permessi senza retribuzione (a qualsiasi titolo richieste); 
  • astensione facoltativa post-partum; 
  • permessi per malattia bambino di età inferiore a 8 anni; 
  • sospensione dal lavoro per provvedimento disciplinare;
  • servizio militare

Le assenze per malattia e infortunio
Le assenze per malattia o infortunio, quando non interamente a carico del datore di lavoro (operai dell’industria e del terziario, per esempio), prevedono l’erogazione da parte dell’Inps o dell’Inail di un’indennità in percentuale che copre sia le competenze correnti sia parte delle competenze differite. Più precisamente, gli operai e gli intermedi per i periodi di malattia, nei limiti temporali fissati dalla normativa in materia, ricevono: con anticipazione da parte dell’azienda, ma a carico dell’Inps, un’indennità giornaliera ragguagliata al 50 e al 66,66% della retribuzione, rispettivamente per i primi 20 e per i giorni successivi di assenza.
L’indennizzo contiene anche i ratei di tredicesima, proporzionati al periodo di assenza e alle aliquote percentuali; un’integrazione a carico dell’azienda abitualmente prevista dalle norme contrattuali. La quota di rateo per tredicesima già erogata dall’Inps non viene, ovviamente, replicata dal datore di lavoro. Conseguentemente quest’ultimo deve detrarre dall’importo complessivo della tredicesima quanto il proprio dipendente ha già percepito allo stesso titolo dall’ente di previdenza.

Le assenze per maternità
Le assenze per maternità incidono sul computo della tredicesima solo quando si tratta di periodi di astensione obbligatoria. Ciò in quanto proprio la disciplina a tutela delle lavoratrici madri, che riconosce peraltro il diritto di potersi assentare dal lavoro per la durata dei sei mesi entro i primi otto anni di vita del bambino (la cosiddetta astensione facoltativa), e durante la malattia del bambino stesso (entro i primi otto anni di vita), dispone la non utilità di tali periodi di assenza ai fini della corresponsione della gratifica natalizia.
È previsto, inoltre, che durante l’assenza per astensione obbligatoria (due mesi prima della data presunta del parto e tre mesi dopo), l’azienda corrisponda, per conto dell’Inps, l’80% della tredicesima mensilità maturata nel medesimo periodo. Per la valutazione del periodo di astensione obbligatoria si possono dunque presentare due tipi di previsione contrattuale: quella secondo cui l’azienda deve integrare l’indennità fino a concorrenza della retribuzione spettante per tutto o parte del periodo di assenza obbligatoria, e quella in cui non deve corrispondere alcuna integrazione.

La cassa integrazione
La disciplina normativa vigente prevede che gli organi competenti al rilascio dell’autorizzazione al pagamento delle integrazioni salariali autorizzino anche la corresponsione dell’80% a titolo di gratifica natalizia maturata nel medesimo periodo. Il dipendente che nel corso della settimana e del mese ha effettuato un orario ridotto per ricorso alla cig ha diritto all’intero importo della gratifica. Di conseguenza, l’azienda deve integrare a proprio carico la parte non corrisposta a tale titolo dall’ente di previdenza, fino a garantire il 100% dei ratei di gratifica natalizia.

La disciplina per l’assistenza ai disabili
La novità, che può dirsi ufficializzata dal 2005, riguarda i permessi dal lavoro, mensili e orari, per l’assistenza a familiari e per il lavoratore con disabilità (ex articolo 33 della legge n. 104/92). Si tratta di assenze che non decurtano la tredicesima mensilità (né le ferie).
Tutti i permessi per l’assistenza ai disabili sono retribuiti e computati nell’anzianità di servizio. Invece, salvo condizioni migliori previste dai contratti collettivi, non rilevano ai fini delle ferie e della tredicesima mensilità (o gratifica natalizia). Ciò significa che il lavoratore che, fruendo ogni mese dei tre giorni di permesso, alla fine di un anno di lavoro accumula un mese di permesso fruito, perde un dodicesimo del monte ferie e un rateo di tredicesima.
Salvo che, come detto, un migliore trattamento non sia previste dalla contrattazione collettiva, come spesso accade nel settore pubblico mentre è cosa molto rara in quello privato. Per esempio, il Ccnl 6/7/1995 enti locali prevede che tali permessi non riducano le ferie (fermo restando che non sono utili ai fini della tredicesima).
Le note dolenti sul trattamento dei permessi devono ritenersi ora superate a favore del migliore trattamento possibile riconoscibile al lavoratore che fruisca dei congedi: non perde né tredicesima né ferie, a prescindere dalle previsioni del ccnl. La novità proviene dal decreto legislativo n. 216/2003 (in vigore dal 28 agosto 2003) che reca attuazione della direttiva n. 78/00/Ce in tema di parità di trattamento su occupazione e condizioni di lavoro ed è stata rappresentata dal ministero del lavoro, in risposta ad apposito quesito in materia.
In particolare, spiega il ministero, l’incidenza negativa dei permessi della legge n. 104/1992, alla luce delle nuove norme, verrebbe a configurare addirittura una discriminazione in quanto i principi di parità di trattamento, applicabili a tutte le persone sia del settore pubblico che nel privato, interessano pure i portatori di handicap, riguardando tutte le condizioni di lavoro nelle quali vanno comprese sia le ferie che la retribuzione.
A proposito delle ferie il ministero ricorda che è un istituto irrinunciabile e come tale garantito dalla costituzione (articolo 36). Ritenere possibile la loro decurtazione in presenza di congedi della legge n. 104/1992, otterrebbe di porsi in contrasto con gli obiettivi di tutela fissati dalla medesima legge quadro sui disabili. La quale, piuttosto, introducendo agevolazioni pro disabili non può comportare la compressione del diritto, costituzionalmente garantito, a fruire di ferie retribuite al fine di reintegrare l’energia psico-fisica del lavoratore interessato. A proposito della mensilità aggiuntiva, il ministero premette che a essa deve riconoscersi natura di indennità di carattere retributivo.
Quindi distingue le due ipotesi di permessi fruiti per l’assistenza a disabili e di permessi fruiti direttamente dal disabile, ma la conclusione è la stessa: è un atto di discriminazione. Nel primo caso, rappresenta una discriminazione indiretta per il disabile che è assistito; nel secondo caso, una discriminazione diretta. In entrambe le situazioni, risulterebbe persona «trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in situazione analoga» ex art. 2 del dl n. 216/2003.

fonte:microsoft.com


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